DUE AMICI SI RACCONTANO

CASTELLO DI UBIALE CLANEZZO (BG)

Mostra pittorica di Ezio Goggia e Pietro Regazzoni

6-18 APRILE 2024

Prefazione Francesca Buonincontri

Nella suggestiva cornice del Castello di Clanezzo (Bergamo) il 6 Aprile 2024 si inaugura l’esposizione di pittura «Ezio Goggia, Piero Regazzoni: due amici si raccontano» (fino al 18 aprile).
La mostra nasce da una forte condivisione di interessi fra i due amici pittori bergamaschi – l’attività professionale, i viaggi, la montagna, la caccia, naturalmente la pittura – ai quali non è sembrato vero di intraprendere una nuova iniziativa insieme, una sorta di esperimento per verificare con curiosità reciproca il risultato finale.
E in effetti il confronto che ne deriva evidenzia due modi molto diversi di dipingere e appare sfidante per gli orientamenti di gusto degli estimatori: entrambi prediligono il paesaggio, ma mentre Piero Regazzoni sembra voler ingaggiare un corpo a corpo con la natura, attratto dalla forza delle sue manifestazioni, l’impegno di Ezio Goggia punta a una visione smaterializzata, giungendo nelle ultime ricerche a esiti di massima rarefazione.
Goggia, che ha trovato nel pittore concittadino Francesco Coter un prezioso interlocutore per gli iniziali suggerimenti tecnici oltre che per un serrato confronto culturale, ha approfondito autonomamente, a partire dai primi anni ’80 del Novecento, l’indagine sulla realtà naturale, misurandosi soprattutto con gli effetti atmosferici e cangianti di aria e acqua, e immergendosi in scenari sempre diversi, dalle familiari Prealpi orobiche, ai brumosi laghi lombardi, dalle dolci ondulazioni dei colli bergamaschi alle lente anse dell’Adda o spingendosi più lontano alle accidentate scogliere sarde e agli abbacinanti riverberi della luce mediterranea o alla luminosità più cristallina delle coste di Normandia.

Durante il suo appassionato percorso di ricerca ha alternato visioni salde di vaga matrice novecentista – complice la geometria degli spalti veneti, dei terrazzamenti collinari, delle creste prealpine – a indagini sulla impalpabilità e mutevolezza della luce, padroneggiando la tecnica della velatura e affinando la tavolozza tonale, tanto da dichiarare il suo debito dalla pittura tardo- ottocentesca lombarda di matrice scapigliata e verista da lui fortemente apprezzata – fra gli altri di Daniele Ranzoni, Filippo Carcano, Eugenio Gignous, Achille Tominetti – e anzi senza timore di esprimersi controcorrente, ha riconosciuto l’attrazione esercitata dalla cultura romantica tedesca, specie dalla poesia di Goethe e di Hölderlin, sulla sua concezione pittorica, venata da un senso di nostalgia e di solitudine.

Ma Goggia è anche saldamente radicato nella civiltà figurativa del Novecento e la serie delle Piazze cittadine è lì a dimostrarlo: l’incantevole naïveté delle composizioni che richiamano l’apparente ingenuità delle vedute di alcuni maestri del Chiarismo lombardo come Angelo del Bon o Umberto Lilloni, o gli effetti di labilità percettiva di De Pisis, non è che il risultato di un assiduo impegno di semplificazione e di alleggerimento del colore corrispondente a una esigenza di essenzialità squisitamente moderna. La dissolvenza dell’immagine è protagonista del corpus di tavole ispirate al Lago di Como che chiude la rassegna: il nostro procede per riduzione e spoglia la realtà dai dettagli accidentali per coglierne una sintesi sublimata e suggerire una straordinaria dilatazione spaziale, in un difficile equilibrio tra memoria dei luoghi e trasfigurazione del dato reale. Sotto questo approccio si intuisce un tentativo di compensazione rispetto alla inquietante banalità di tante esperienze visive odierne e in ultima istanza una risposta – forse illusoria – alla insufficienza di senso del vivere contemporaneo.
Anche Piero Regazzoni, dopo un periodo di frequentazione dello studio del pittore bergamasco Luigi Scarpanti, nei primi anni ’80 ha svolto il suo apprendistato nella pratica del disegno e del colore presso Francesco Coter, da cui ha tratto un’impostazione di fondo improntata alla massima sintesi compositiva. Per sua stessa ammissione l’esplosione cromatica della sua pittura si è intensificata come reazione all’ininterrotta esperienza del bianco di neve e di ghiaccio durante una spedizione alpinistica compiuta nel 1985 verso il polo Nord.

Nelle sue prove pittoriche compiute appena prima – durante i soggiorni estivi in Croazia – o nella lunga attività successiva, Regazzoni ha prediletto soluzioni di forte accensione cromatica, congeniali all’alta temperatura emotiva del suo carattere, seguendo forse inconsapevolmente le orme dei fauves francesi come Derain o Vlaminck, o più in generale inserendosi nel solco della ricerca espressionista, da Marc, a Kandinskij, a Kirchner, a Schmidt-Rottluff, a Nolde, evidenziata dall’irruente stesura delle larghe pennellate che tratteggiano alberi, tramonti, scogliere, boschi, animali con gioia esplosiva.
Ma la sua forza pittorica sembra riallacciarsi anche a un’altra esperienza fondamentale, interiorizzata forse senza un’esplicita intenzionalità: il libero dispiegarsi dei corposi addensamenti di colore sulla tela non sarebbe infatti concepibile senza il retroterra della gestualità informale che ha influenzato largamente il panorama artistico italiano nel secondo dopoguerra, grazie anche agli stimoli potenti delle ricerche francesi e nord-europee legate ai movimenti dell’Art autre e del gruppo CoBrA.
Grazie alla spontanea scioltezza della pennellata e alla istintiva facilità di giustapposizione di timbri brillanti, Regazzoni può vantare un’invidiabile produzione di tele che, riprodotte a stampa, illustrano i cinque volumi accomunati dal titolo «Passioni» includenti racconti di esperienze di caccia e di immersione nella natura dei suoi numerosi amici, pubblicati dall’editore Lubrina fra il 2007 e il 2020, per finanziare con il ricavato delle vendite l’Asante Sana Children’s Home di Malindi in Kenia, una struttura per la cura e l’istruzione dei bambini locali, promossa dallo stesso artista.
Proprio in relazione a questo progetto, negli ultimi anni fra i soggetti della sua pittura si affaccia un’attenzione più specifica agli animali selvatici, specialmente volatili – pernici bianche, coturnici, galli forcelli –, ma anche volpi, lepri e il cane Dog, setter fedele compagno delle battute di caccia: l’impetuosa pennellata compendiaria lascia il posto a un fare minuto e sfrangiato e i timbri squillanti sono sostituiti da vibrazioni azzurrognole di aria o da un biancore diffuso, allusivo alla luce e alla neve e al senso di libertà che la vita selvatica suscita negli occhi incantati del pittore.

Bergamo, gennaio 2024 Francesca Buonincontri